martedì 30 novembre 2021

A Nightmare on Elm Street 2: Freddy's Revenge (1985)


L’episodio più odiato e meno apprezzato di tutta la saga kruegeriana, girato nel 1985 da Jack Sholder e scritto da David Chaskin.

Ai due citati autori non fregava assolutamente nulla del Freddy Krueger  “personaggio” né della sua mitologia, ma solo della possibilità di imbastire un horror duro e puro che incassasse almeno quanto il precedente capitolo di Craven, ai tempi non interessato allo sfruttamento commerciale della sua creatura. Missione compiuta poiché, al di là delle lamentele dei fans,  la pellicola in questione è un ottimo horror, senza ammiccamenti, battutine e imborghesimento del villain ustionato che rimane ancora figura inquietante e minacciosa. Un orco vero e proprio che elegge cantine, caldaie e fabbriche dismesse a sua dimora, con l’unica intenzione di uccidere e “collezionare” anime ('ora siete tutti figli miei' dice alle sue potenziali vittime durante la splendida scena della piscina).

Jesse (Mark Patton) si trasferisce con la famiglia nella casa che fu di Nancy Thompson, ereditando sia gli incubi terribili sia la presenza ossessionante di Krueger che, in una bellissima scena, vedrà  di soppiatto dalla finestra della cantina mentre brucia degli oggetti nella caldaia. Siamo quasi dalle parti di Amityville Horror (o Possession) per molti versi, la casa sembra posseduta, fa un caldo infernale, i pappagallini in gabbia impazziscono e muoiono per combustione spontanea, e poi, Jesse sogna, ha degli incubi spaventosi in cui si materializza la figura dell’uomo nero con il cappellaccio. In più, cominciano le morti, inspiegabili, tanto che Jesse comincia a credere di essere pazzo, non aiutato nemmeno da una delle famiglie più odiose e disfunzionali mai apparse sugli schermi.

Plot classico, nessuna concessione all’ironia per un film che costeggia il genere slasher regalando al pubblico grandi scene d’omicidio come quelle della morte sadomaso del coach Schneider (Marshall Bell) o la già citata mattanza in piscina, con un Robert Englund in gran spolvero, torreggiante, a dispetto della bassa statura, in mezzo al gruppo di ragazzini festaioli (Anthony Hickox questa sequenza l’ha vista sicuramente, guardate un po’ il massacro discotecaro di Pinhead in Hellraiser 3-Hell on Earth).

Forse gli appassionati della saga non hanno mai perdonato a Sholder il fatto di aver mostrato poco l’uomo nero di Elm Street, praticamente assente per tutta la prima parte. Vero, ma bisogna pur ammettere che tutte la apparizioni di Freddy sono straordinarie e centellinate in vista del twist finale in cui il Nostro si materializza nella “realtà” dei personaggi messi in scena letteralmente facendosi strada tra la carne del protagonista principale, ragazzo complessato in odor di omosessualità incapace di consumare il rapporto con la ricca fidanzata perché in simbiosi con il terribile Krueger. Scena grandiosa, orchestrata dall’effettista Mark Shostrom, regista non accreditato di tutta la sequenza di trasformazione, mentre il make-up di Englund fu affidato al bravo Kevin Yagher, destinato a divenire uno dei professionisti più apprezzati e richiesti in ambito orrorifico (la creazione di Chucky in Child’s Play su tutte). Una leggenda metropolitana, o presunta tale, vuole che il guanto artigliato sia stato rubato sul set, motivo per il quale, in alcune immagini,  le lame fuoriescono direttamente dalle dita di Freddy.

Curiosità a parte, il film di Sholder (regista pure di un gioiello dimenticato come The Hidden) è girato e fotografato in modo splendido, Jacques Haitkin fu il direttore della fotografia del capostipite, ed è un peccato relegarlo nel limbo dei seguiti indegni, non solo perché fu un buon successo al botteghino, ma perché è una pellicola in grado di camminare sulle proprie gambe. Successivamente il buon Craven tornerà ad occuparsi franchise, ma questa è un’altra storia. E poi, ci sia concesso di dire che A Nightmare on Elm Street 2: Freddy’s Revenge sfodera l’incipit forse più fenomenale dell’intera serie, con la folle corsa dello school bus, guidato da un Robert Englund senza trucco, in una landa desolata e quasi preistorica che avrà portato all’innamoramento subitaneo una legione di giovani amanti del cinema horror. Non è poco. Da riscoprire.

Originariamente pubblicato su Horror.it il 30/09/2011.

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sabato 27 novembre 2021

Morte sospetta di una minorenne (1975)

Ottimo thrilling di Martino, con il compianto Claudio Cassinelli.

Molto bello questo Morte sospetta di una minorenne di Sergio Martino, sottovalutato e dimenticato nel panorama di genere anni settanta che tanti titoli ha sfornato per la gioia (o la noia) dei catecumeni del bis. Un peccato non ricordarlo perché il parto di Martino non ha nulla da invidiare ai film coevi, anzi, vive in una sua "dimensione" bastarda tra il poliziottesco, il thrilling e la commedia che lo rende oggetto inconsueto e interessante.

C'è una ragazzina assassinata, Marisa (la bella e riccioluta Patrizia Castaldi), un personaggio ambiguo ed equivoco che "indaga" sull'omicidio, ovvero Paolo "Meningi" Germi (il grande e compianto Claudio Cassinelli) facendosi aiutare da un giovane scippatore, Giannino (Adolfo Caruso), e una vicenda intricata che mischia puttane, papponi, rapitori e banchieri. Non ci si fa mancare niente, la sceneggiatura di Martino e di Ernesto Gastaldi procede per accumulo, parte come thrilling, si tinge di giallo, si fa spesso e volentieri commedia brillante non disdegnando nemmeno il poliziottesco con commissario. Potrebbe sembrare un gran pasticciaccio, e forse lo è, però molto godibile e, soprattutto, ben girato con la solita, grande professionalità di Martino, che si permette di girare una scena d'omicidio piazzata proprio all'inizio molto ben congegnata per poi lanciarsi in un inseguimento tra le strade milanesi con tanto di comicità slapstick e offrire allo spettatore pure una sequenza ambientata sul tetto di una sala cinematografica con Cassinelli appeso alla struttura che si apre scoperchiando il cinematografo.

Un cinema prettamente di genere, quindi, capace però di risvegliare l'interesse dello spettatore e dell'appassionato con una messa in scena "all'americana" nel senso migliore del termine, che non risparmia colpi di scena e ardite "interpretazioni" del contesto sociale d'epoca, con i ricchi speculatori a giostrare il flusso di capitali, droga e prostituzione.

Nella costruzione dell'impianto poliziesco, non possono mancare volti noti e di grande impatto cinematografico come  Massimo Girotti (nel ruolo del deus ex machina Gaudenzio Pesce), Mel Ferrer e il già citato Claudio Cassinelli, attore molto, molto apprezzato da chi scrive, scomparso tragicamente durante le riprese di Vendetta dal Futuro (1985) dello stesso Martino, il 12 luglio 1985 a Page, Arizona, causa incidente aereo (l'elicottero sul quale stava effettuando delle riprese si schiantò contro un ponte) protagonista di molte pellicole della decade selvaggia dei seventies, ma non solo, da Milano Violenta di Mario Caiano a Il Ladrone di Pasquale Festa Campanile, in cui interpretava Gesù, fino ai lavori con Fulci, Murderock e I Guerrieri dell'anno 2072.

Parterre femminile notevole, anzi tra i più rappresentativi della produzione bis, con la bella Barbara Magnolfi, nel ruolo di Floriana, capelli corvini e fisico che dire da urlo è dire poco (un titolo, un perché, La Sorella di Ursula di Enzo Milioni, ma anche Suspiria e Milano: Difendersi o Morire), omaggiata con diversi primi piani dal buon Martino, a fare il paio con la splendida Jenny Tamburi, burrosa come poche, indimenticata e indimenticabile Lolita in La Seduzione (1972) di Fernando Di Leo, Peccati in Famiglia (1975) , ottimo erotico-famigliare di Bruno Gaburro con Massaccesi alla fotografia che poi la diresse nel voyeuristico Voglia di Guardare (1986), scomparsa prematuramente il primo marzo del 2006, dopo una carriera di tutto rispetto come responsabile casting. Chiudono il cerchio Lia Tanzi, che non ha assolutamente bisogno di presentazioni e la già citata Patrizia Castaldi, meteora del bis nazionale della quale si conta solo cotanto cimento attoriale, poi si dedicò alla professione di costumista (Scusate se è poco, 1982 e Il Cappotto di Astrakan, 1979, entrambi di Marco Vicario), protagonista assoluta dei primi minuti della pellicola.

Da riscoprire o rivedere senza indugio, sia per gli amanti di Martino che per gli appassionati in generale, proprio per la grande libertà che regista e sceneggiatore si prendono nel rimaneggiare il plot, offrendo ottime visioni settantesche e un protagonista lontano dall'incarnazione dell'uomo di ferro che dilagava nei cinema italici, in gran parte merito di Cassinelli, molto bravo nel confronto finale con un grande Massimo Girotti, chiusura fumosa e malinconica che aggiunge quel qualcosa in più degno di essere ricordato e custodito. Almeno spero. Recuperate il bellissimo Dvd della Sazuma, da vedere in "double bill" con la splendida edizione, sempre Sazuma, de La Settima Donna di Franco Prosperi. Fotografia di Giancarlo Ferrando, montaggio di Raimondo Crociani e musiche di Luciano Michelini. Con Gianfranco Barra, Franco Alpestre, Aldo Massasso, Fiammetta Baralla e Franca Scagnetti.

Originariamente pubblicato su "Le Recensioni di Robydick" il 14/12/2011.

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venerdì 26 novembre 2021

Lo Strano Vizio della Signora Wardh (1971)


Una magnifica Edwige Fenech nel bel thrilling di Martino.

E' un bel film questo The Strange Vice of Mrs. Wardh. Non un capolavoro e nemmeno, per chi scrive sia chiaro, il miglior film di Martino. Ma funziona. O meglio, riesco ancora a vederlo con grande piacere. Paga probabilmente il fatto di essere stato il prototipo delle filiera di thrilling settanteschi di grande successo (uscì il 15 gennaio 1971) diretti da Martino a inizio decennio, per cui si ha come una sensazione di "già visto" nel riguardarlo, ma sono questioni di lana caprina. Basterebbero le sequenze oniriche con protagonisti la Fenech ed il grande Ivan Rassimov ad assicurare alla pellicola una nicchia nell'empireo del bis nazionale.

Sceneggiatura del fido Ernesto Gastaldi e la solita, impeccabile, elegante regia di Martino, che apprezzo molto, da sempre, anzi, pregio in modo particolare i suoi poliziotteschi, in primis Milano Trema: La Polizia Vuole Giustizia (1973) con Luc Merenda/Caneparo, un capolavoro, nonché La Città Gioca d'Azzardo (1975) e La Polizia Accusa: Il Servizio Segreto Uccide (1975) sempre con Luc e con un insolito e fumoso Tomas Milian, per non parlare del tardo-western Mannaja (1977) con Maurizio Merli.

Grande cura registica riscontrabile pure in questo Signora Wardh, con una splendida (ma che ve lo dico a fare) Edwige Fenech persa in una spirale di paranoia, ricatti, violenze e sesso, con le belle facce di George Hilton e di Ivan Rassimov a riempire i fotogrammi della pellicola. Che risulta più efficace quando gioca la carta della sexploitation con picchi di violenza e sadismo, specialmente nelle sequenze in cui la Fenech rimembra il morboso rapporto che la legava a Jean (Rassimov), suo ex-amante e torturatore, rispetto all'impianto thrilling che sembra scricchiolare un poco.

Ripeto, questione di gusti, come al solito, ma preferisco il successivo Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972, titolo "telefonato" da uno dei biglietti recapitati alla Fenech) anche se giochiamo sempre nello stesso campo, campo che comunque Martino conosceva e gestiva da par suo, giocando con violenza esibita e nudi strategici della Fenech, in grado di far ancora tremare i polsi dell'appassionato, sia sotto la canonica doccia (materiale osceno deputato ad un'altra branca del bis) sia sotto le cure di Rassimov o di Hilton (gran protagonista del nostro cinema, che ho recentemente apprezzato durante l'ennesima visione di Testa t'ammazzo, Croce... sei morto... Mi chiamano Alleluja, 1971 di Giuliano Carmineo).

Gli amanti del giallo italico anni settanta, apprezzeranno senza meno, questione di locations, costumi, atmosfere e inquadrature che costituiscono l'impalcatura dei thrilling martiniani, abbiamo lasciato fuori La Coda dello Scorpione (1971), Tutti i Colori del Buio (1972) e I Corpi presentano tracce di violenza carnale (1973), si, proprio il famigerato Torso, conosciuti e apprezzati anche e maggiormente all'estero, in particolare Lo Strano Vizio... molto amato da Quentin Tarantino che ha utilizzato un brano della colonna sonora orchestrata da Nora Orlandi, Dies Irae, in alcune sequenze di Kill Bill Vol.2, per poi riuscire a convincere la Fenech a ritornare in un cameo (brevissimo) in Hostel 2 del compagno di merende Eli Roth. Come dargli torto, Edwige è ancora oggi visione ottundente, abbacinante, capace di dare quadratura ad un progetto anche solo con un primo piano o con qualche centimetro di pelle mostrata alla cinepresa, vedi nel film in questione, la bellissima scena in cui fugge da Rassimov nel bosco, sotto la pioggia, con la cinepresa sadica di Martino che sembra promettere la visione di quel corpo glorioso, bagnato e percosso, per poi mostrare giusto un capezzolo che sfugge dalla giacca. Magnifico.

Consigliatissimo. E poi, Ivan Rassimov, Ivan Rassimov, Ivan Rassimov, meglio ripeterlo tre volte, mai abbastanza citato e ricordato, il vecchio Cjamango (fratello di Rada) nonché protagonista de Si può essere più bastardi dell'Ispettore Cliff? (1973) di Massimo Dallamano, tra le altre, tantissime cose. 7 maggio 1938 - 14 marzo 2003. Con Alberto De Mendoza, Bruno Corazzari e Cristina "Conchita" Airoldi.

Originariamente pubblicato su "Le Recensioni di Robydick" il 30/11/2011. 

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mercoledì 24 novembre 2021

The Godsend (1980)


Curioso clone de "Il Villaggio dei Dannati", da riscoprire senza troppi indugi.

Che strano film questo The Godsend della regista inglese Gabrielle Beaumont, tratto da un discreto romanzo di Bernard Taylor. La recente visione del Blu-ray Shout! Factory, in accoppiata con la sublime Serie B in odore di Z di The Outing, rivela una pellicola bizzarra, imprendibile, che cerca di arraffare il possibile dalla "nobile" serie Il Presagio ma nello stesso tempo se ne distacca cercando la strada (ardua) del cinema da camera più intimista. No, vi sto raccontando un sacco de fregnacce perché parliamo pur sempre di Serie B, anche se non così scalcinata e cialtrona (fu una produzione Cannon, nientemeno).

Ricapitolando, The Godsend mette in scena un dramma terribile: una tranquilla coppia si ritrova la prole sterminata dalla figlia adottiva, una piccola bastardella biondo platino gentile regalo di una misteriosa donna incontrata durante una gita nella campagna inglese (la spettrale Angela Pleasence). Comunque, la peculiarità della pellicola sta tutta da un'altra parte, ovvero nell'incredibile aplomb con cui i due coniugi (Malcolm Stoddard e la bella Cyd Hayman) affrontano la progressiva dipartita dei figli legittimi, fino a quando il padre non decide di prendere a calci  l'insopportabile mocciosa. Fine.

Non è proprio così. Il film della Beaumont (una valanga di Tv, tra cui Death of a Centerfold: The Dorothy Stratten Story con Jamie Lee Curtis, Hammer House of Mystery and Suspance, ma soprattutto Beastmaster III) ha una sua fiera dignità che lo eleva al di sopra dei vari cheapies del periodo, vuoi per la regia elegante, vuoi per la fotografia naturalistica di Norman Warwick e lo score puntuale di Roger Webb, vuoi per una certa aria morbosa che, bene o male, si respira per tutta la durata, probabilmente il pregio maggiore di un'operina che cerca di evitare come la peste effetti ed effettacci concentrandosi più sull'atmosfera minacciosa e paranoica che lo script di Olaf Pooley vorrebbe evocare, rimandando la spettatore a ripassarsi Il Villaggio dei Dannati. Missione non completamente riuscita, ma il "moderno miracolo" del Blu-ray, se così lo vogliamo chiamare, gioca a favore di The Godsend restituendo un transfer in 1.78:1 veramente pregevole. Insomma, il film non si è mai visto così bene. Non è poco.

Originariamente pubblicato su "L'Osceno Desiderio" il 9/02/2016.

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sabato 13 novembre 2021

Liberi Armati Pericolosi (1976)

 


Sottovalutato poliziottesco di Guerrieri con Eleonora Giorgi e Tomas Milian.

Atipico poliziottesco diretto da Romolo Girolami Guerrieri, fratello di Marino e zio di Enzo G. Castellari, su sceneggiatura di Fernando Di Leo e Nico Ducci. Atipico perché lontano dalla formula "commissario di ferro contro il crimine", o meglio, il commissario interpretato da Tomas Milian rimane una figura sì importante nell'economia del racconto, ma a latere rispetto all'impianto action, essendo, i protagonisti principali, tre ragazzi della Milano borghese che rapinano e uccidono senza porsi nessun quesito sulla moralità delle loro azioni.

Tre personaggi caratterialmente diversi, il Biondo (Stefano Patrizi), Luis (Max Delys) e Giò (Benjamin Lev), che attraversano la Milano anni settanta con armi in pugno e nessuno scrupolo nell'eliminare il prossimo, che siano vittime innocenti o complici, vedi la sparatoria durante la rapina al supermercato, con gli altri membri della banda massacrati  senza alcuna pietà (compare anche un giovanissimo e sbarbato Diego Abatantuono, nel ruolo di Lucio, un destrorso con la mania delle armi automatiche).

Film non particolarmente amato, ma da non disprezzare o sottovalutare a priori, non solo per la sicura regia di Girolami/Guerrieri ma anche per la sceneggiatura dell'amato Di Leo, implacabile nel rimarcare, per tutto il metraggio, l'inerzia e la totale incompetenza della polizia, incapace di fermare il trio, nonostante più volte abbia la possibilità di arrestare i ragazzi. Anzi, fin dall'inizio il commissario è al corrente di tutta quanta la situazione, grazie alla soffiata di Lea (Eleonora Giorgi), fidanzata di Luis, che verrà poi coinvolta nella fuga del gruppo. Certo, il finale è facilmente prevedibile visto che la pellicola è una lenta discesa verso la morte dei tre, non particolarmente simpatici o carismatici (forse il personaggio più "forte" e consapevole è proprio la Giorgi), i quali lasciatisi alle spalle una carneficina assurda, non possono che crepare, non per mano della polizia, ma suicidandosi e finendo sbranati da un cane sfuggito all'unità cinofila.

Puro cinismo targato Di Leo, che strutturò la sceneggiatura sul racconto Bravi ragazzi bang bang di Giorgio Scerbanenco, tratto da Milano Calibro 9 in origine materiale per un film intitolato Spara, ragazzo, spara, portato sullo schermo da Romolo Guerrieri, un regista molto apprezzato da chi scrive nel mucchio selvaggio di cinematografari attivi durante gli anni sessanta, settanta e ottanta. Da citare, in particolare, Un Detective (1969), l'ottimo spaghetti-western 10.000 dollari per un Massacro (1967) con Gianni Garko e Claudio Camaso, Un Uomo, Una Città (1974) con l'accoppiata Enrico Maria Salerno/Luciano Salce, consigliatissimo, e pure questo Liberi Armati Pericolosi merita una visione, vuoi per l'approccio inusuale con cui si affronta il genere, comunque in grado di offrire sparatorie e inseguimenti automobilistici ottimamente girati, vuoi per l'atmosfera cimiteriale che si respira fino al finale, con Luis che si lancia con la macchina dal ponte, uccidendo di fatto il Biondo e uccidendosi, mettendo fine ad un rapporto di amore/odio/morte dai risvolti, forse, omosessuali, come suggerito da Lea, la prima a capire realmente come vanno le cose. Grande l'espressione sgomenta e sconfitta di Milian che osserva, impotente, da lontano, l'incidente automobilistico, come del resto, impotente e spettatore dell'escalation di violenze, lo è stato per tutto il film.

Prova dignitosa da parte del cast di giovani protagonisti (Stefano "il Biondo" Patrizi, fu pure lo stupratore nel lenziano Roma A Mano Armata, 1976, molto attivo durante la decade in questione), con la Giorgi notevole che non rinuncia ad una scena di pura sexploitation,  durante la scena con l'elicottero. Colonna sonora di Gianfranco Plenizio ed Enrico Pieranunzi, che rinuncia a groove settanteschi per una partitura più intimista e atipica rispetto a produzioni coeve. La Milano da bere protagonista assoluta, splendidamente fotografata dal grande Enrico Menczer, che volete di più. Ci sono pure Maria Rosaria Riuzzi da Sorbole che Romagnola di Alfredo Rizzo e la splendida Gloria "Baila Guapa" Piedimonte che partecipò a John Travolto... da un insolito destino (1979) di Neri Parenti. Consigliato. Nel senso del film di Guerrieri, ma recuperate pure quell'altro.
Buona visione.

In calce una rece del Morandini:

E’ un film che fa rabbia. Come Castellari, Dallamano, Martino, Infascelli, Caiano, Grieco, Massi, Lenzi, Di Leo e tanti altri, Romolo Guerrieri è un regista di cinema d’azione che s’è cimentato più d’una volta nel genere poliziesco, uno dei più sgangherati, efferati e reazionari del cinema italiano di consumo. Non è dei peggiori, e lo dimostra anche qui a livello tecnico: c’è un mestiere innegabile nelle sequenze d’inseguimento, una certa cura nella direzione degli attori e persino un gusto del paesaggio come si può vedere nell’ultima parte del film... Ma la sceneggiatura è di un imbecillità così proterva, di una inverosomiglianza così ostentata, di una ricerca della violenza così esasperata e gratuita da risultare vergognosa nel suo disprezzo per l’intelligenza del pubblico.

Originariamente pubblicato il 04/12/ 2011 su "Le Recensioni di Robydick".


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venerdì 12 novembre 2021

The Wizard of Gore (2007)

 


Remake del classico di H.G. Lewis. Delirio assoluto, ma da riscoprire.

Crispin Glover è un pazzo scatenato. Chi meglio di lui poteva portare sullo schermo l'illusionista degli illusionisti, il celeberrimo Montag The Magnificent? Nessuno. Ed infatti ecco a Voi il remake del classico blood and gore di H.G. Lewis, a cura del bravo Jeremy Kasten, già autore di The Attic Expeditions. Cinema weird allo stato puro, calato in una dimensione dove il presente e il passato si confondono, disorientando lo spettatore meno incline a lasciarsi trasportare dalle sanguinose illusioni del protagonista.

Un film lontanissimo dal teen horror (anzi, proprio agli antipodi) spesso proposto dalla Dimension, che potrà piacere agli amanti dell'horror meno standardizzato. Prendere o lasciare, insomma. Chi ama la sregolatezza di Glover avrà parecchio da divertirsi, per contro, chi lo giudica troppo eccessivo e gigione, si potrà consolare con Bijou Phillips, Jeffrey Combs, Brad Dourif ed il redivivo Joshua Miller di Class of 1999. Se non vi piace nessuno, allora non ci posso fare niente. Fine. 

Blu-ray uncut special edition del 2007 a cura della Euro Video, Region Free e DVD della Dimension Films, ratio 1.85:1, Region 1.

Originariamente pubblicato su Varese Mese News.

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mercoledì 10 novembre 2021

Cries in the Night (1980)

 



Canuxploitation di William Fruet con la splendida "Scream Queen" Lesleh Donaldson.

Vecchia visione su VHS Paragon, questo Cries in the Night (rititolato Funeral Home per la distribuzione USA nel 1982 a cura della Motion Picture Marketing) dello specialista William Fruet è un'operina con molti difetti e tempi morti ma si ritaglia una bella nicchia nel mio pantheon cinematografico per svariati motivi. Prima di tutto perché starreggia Lesleh Donaldson, poi perché c'è Lesleh Donaldson e soprattutto per la presenza di Lesleh Donaldson, splendida ninfetta canadese del cinema horror early eighties

In ogni caso il film di Fruet, che è un autore che il sottoscritto apprezza molto in ambito canuxploitation, può vantare, se non altro, una certa atmosfera opprimente e cimiteriale esaltata dalla bellissima partitura di Jerry Fielding e l'interpretazione spiritata di una professionista di lungo corso come Kay Hawtrey, che appare sempre sull'orlo di una crisi di nervi forse perché l'esaurimento nervoso le venne sul serio durante le riprese a causa del suo rapporto non proprio idilliaco con il regista, almeno secondo la testimonianza della Donaldson. 

I problemi della pellicola di Fruet sono altri e risiedono tutti nel manico, ovvero in una sceneggiatura che guarda da lontano Psycho e Non Aprite Quella Porta, il che non è un male, non avendo però il coraggio o la voglia di camminare con le proprie gambe, finendo così per diventare una fotografia un po'  sbiadita. Ma non è un grande problema, almeno per me. Scremando il latte, alla fine Funeral Home è una sorta di bizzarro coming of age (la Donaldson aveva quindici anni ai tempi) capace di sfruttare al meglio le bellissime locations e un finale un po' telefonato ma triste e malinconico quanto basta. 

DVD della Milk Creek Entertainment del 2005, Region 1, Single Disc, ratio 1.33:1 con mediocre qualità video, praticamente un riversamento della VHS.

Originariamente pubblicato su "L'Osceno Desiderio" il giorno 02/02/2016.


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martedì 9 novembre 2021

Savage Harvest (1981)

 


Ottimo eco-vengeance con felini scatenati contro Tom Skerritt e Michelle Phillips!

E' proprio il caso di parlare di "roaring eighties", perché in questo dimenticato Savage Harvest, i leoni, veri, ruggiscono sul serio. Altro che CGI. Una didascalia all'inizio della pellicola avvisa il pubblico che i fatti narrati si ispirano a vicende realmente avvenute. A causa della siccità i leoni si spingono ad attaccare i villaggi africani e pure la villa di una famiglia americana di stanza in Kenya, assediata dalle bestie affamate.

Dirige il vecchio Robert L. Collins, regista prettamente televisivo (La Scelta/Walk Proud, 1979 con Robbie Benson e Pepe Serna e una valanga di regie televisive da Marcus Welby a Sulle Strade della California) e si vede,  tuttavia in grado di confezionare un dignitosissimo animal attack capace di rimanere nella memoria del cinefilo e appassionato, senza essere un capolavoro o un caposaldo del genere.

Tolto l'incipit, veramente incisivo nel creare un senso di morte e desolazione grazie a sequenze documentaristiche sottolineate dall'ottima partitura di Robert Folk, i primi trenta minuti sono di puro mestiere, con la presentazione dei protagonisti Tom Skerritt e Michelle Phillips (proprio lei, ex The Mamas & The Papas e moglie di John Phillips) con contorno di figli e amici. Dopo i leoni attaccano e, per un amante dell'eco-vengeance, vedere i felini che attaccano e sbranano i poveri esseri umani, assediati, impauriti, soggiogati dalla bestie, è sempre spettacolo degno di tale nome. Grande lavoro da parte di addestratori e stuntmen (magnifico il primo assalto alla governante della magione) e leoni, leonesse, pantere protagonisti assoluti della pellicola tutta. Collins da buon artigiano televisivo (1 giugno 1930-21 ottobre 2011) non la butta sul blood & gore, anzi di sangue non è che se ne veda molto, e preferisce concentrarsi sulle reazioni degli assediati concedendo qualche sequenza ad effetto fino allo scioglimento della vicenda. 

In questo senso molto efficace risulta la scena in cui la famiglia si riunisce intorno a Michelle Phillips che strimpella al piano "All You Need Is Love" e "I Want To Hold Your Hand", nel tentativo, invero demenziale, di ritrovare la calma e la stabilità dopo il furioso attacco dei leoni; dopo le lacrime e le urla, a poco a poco tutti gli assediati cominciano a cantare, sicuri che ad un gruppo di americani in terra straniera non possa assolutamente accadere niente di brutto fino a che non si ritrovano un enorme leone in salotto.

La rilettura in salsa animal attack del cinema d'assedio, pur non avendo la potenza del cinema carpenteriano e romeriano, senza contare le influenze western (si veda il lancio del fucile tra Skerrit e Shawn Stevens), è comunque godibile e spettacolare, potendo contare sul realismo delle sequenze e delle reazioni degli attori, circondati da bestie vere e non da pupazzi, per cui il livello esploitativo del film di Collins è ancora piuttosto alto, specialmente nel concitato finale con i felini che irrompono nella villa e circondano la gabbia di fortuna in cui si sono rifugiati i protagonisti. Sequenza che ancora riesce ad inquietare proprio per la ferocia con la quale gli animali si ammassano davanti all'entrata della magione quasi a voler "sfrattare" i poveri, ormai ex-inquilini. Non è poco.

Certo la visione della slavatissima VHS giapponese non aiuta certo la fruizione del prodotto di Collins,  penalizzando la fotografia del buon Ronnie Taylor, ma godiamo di quello che abbiamo, poiché Savage Harvest non ha ancora goduto di una degna edizione digitale (bootleg a parte) e in video circolò molto poco solo in UK e nell'edizione Warner Home Video giapponese (per problemi riguardanti i diritti sulle canzoni dei Beatles) dopo una fugace apparizione nelle sale cinematografiche di Los Angeles. Consigliatissimo, comunque, in double bill con Roar (1981) di Noel Marshall, che ha goduto invece di una versione in Dvd e Blu-ray, senza contare dei caposaldi del genere come Future Animals (1977) dello specialista William Girdler e il mitico Il Branco (1978) di Robert Clouse con Joe Don Baker. La giovane Tara Helfner, nel ruolo di Kristie, la giovane figlia di Skerrit nel film, è la figlia del produttore, sceneggiatore e pure addestratore Ralph Helfer.

Originariamente pubblicato su "Le Recensioni di Robydick" il 18/03/2012.


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giovedì 4 novembre 2021

Patroclooo!... e il soldato Camillone, grande grosso e frescone (1973)

 


Commedia "militaresca" con Pippo Franco e Laura Troschel, il cui titolo si ispira al tormentone di Giorgio Bracardi ivi recitante nel ruolo di uno psichiatra militare paranoico.

Difficile aggiungere qualche cosa di nuovo su Patroclooo!. O si ama o si odia. Prendere o lasciare. Oppure prendere e lasciare. Oggetto strano, il film di Laurenti, leggero, leggerissimo, scritto da Francesco Milizia (sceneggiatore che le commedie italiane le ha scritte probabilmente anche sui muri, vista la prolificità disarmante) come viatico per la comicità di Pippo Franco, sulle cui spalle poggia tutta l'impalcatura del film, inframezzata dagli interventi di un Bracardi isterico che sbuca fuori financo dalla tazza del cesso. Strano personaggio, monologhista surreale, musicista e autore di canzoni (come del resto lo fu il fratello Franco) sodale di Arbore e Boncompagni in Alto Gradimento (la celeberrima trasmissione radiofonica dove, tra gli altri, interpretava Achille, invocante il misterioso Patroclo) che non è che abbia avuto grandissima fortuna cinematografica, pur avendo partecipato a diversi film, con particolare predilezione per le pellicole barzellettare sulle forze dell'ordine, I Carabbinieri (1981) di Francesco Massaro, I Carabbimatti (1981) di Giuliano Carmineo e Vigili e Vigilesse (1982) di Franco Prosperi.

Film leggero, assolutamente non volgare e privo del lato erotico che solitamente si accompagna(va) alla commedia italiana degli anni settanta (pochissimi sono i centimetri di pelle femminile esposti durante il metraggio, tra i minimi storici rispetto al genere) orbitante intorno alla figura dinoccolata di Pippo Franco, qui nel ruolo del ladruncolo Bruno Camillone il quale, cambiata l'identità per poter recuperare dei gioielli a Lisbona, sarà costretto suo malgrado a prestare servizio militare a causa del nom de plume utilizzato per il colpo, tal Salvatore Bruschetta, renitente alla leva e a rischio di corte marziale. 

Comicità più slapstick che pecoreccia, con il protagonista sempre schiaffeggiato, minacciato e gabbato da commilitoni e superiori, in cerca di una via di fuga dalla caserma da una parte, ma dall'altra irresistibilmente attratto dalle grazie della bella Tamara (Laura Troschel) che tenterà in ogni modo di sedurre e che poi sposerà pure, già ingravidata dal precedente fidanzato. Grande il regolamento di conti finale alla stazione tra il povero Camillone e i parenti di Tamara, in primis il padre, il grande Fortunato Arena, folle parodia western con raffica di schiaffoni al posto dei proiettili. Regia corretta del buon Laurenti, che fu assistente di Steno dopo l'abbandono di Fulci per lavorare alla Settimana Incom con Domenico Paolella, autore di una legione di commedie italiche, anche con i grandissimi Franco e Ciccio, poi con Insegnanti, Liceali e varie, che ha fatto e farà di meglio, vedi La Vedova inconsolabile ringrazia quanti la consolarono (1973) e, soprattutto il suo capolavoro Il Vizio di Famiglia (1975) con la Fenech, Montagnani, Gigi Ballista, Juliette Mayniel, Gastone Pescucci e Orchidea De Santis.

Pellicola innocua, godibile se si apprezza il genere e il contesto in cui fu realizzata, senza parlare di capolavoro o di rivalutazione a priori, apprezzabile proprio per il suo status demente e fortemente basato sulle gag visive (i colpi in testa ricevuti da Pippo non si contano), Patroclooo!... è tutto qua, novanta minuti di intrattenimento stralunato con il romanissimo protagonista, soldato un poco vigliacco ma con il cuore tenero come da copione, a fare da mattatore tra caratteristi sicuramente molto amati dai catecumeni del bis come Pupo De Luca (Sergente Nardi), Luca Sportelli (l'ufficiale in cucina, inimitabile), Piero Vida, il già citato Fortunato Arena e pure Lucianona Turina, nel ruolo della proprietaria della trattoria innamorata di Camillone e da questi colpita senza pietà con un cero davanti al santuario di pietra.

Poca carnassa, invece, per gli amanti delle attrici anni settanta, qui comunque degnamente rappresentate da Laura Troschel (Costanza Spada) nata a Varese nel 1944, carriera di tutto rispetto, spesso al fianco di Pippo Franco ai tempi suo marito, vedi Ciao Marziano (1980) di Pingitore, avvistata pure nel misconosciuto western Quel maledetto giorno della resa dei conti di Gigi Mangini, attribuito a Sergio Garrone, e Christa Linder, splendida tedeschina che fu insignita dell'attenzione di Playboy e che nel mare magnum delle attrici operanti nell'italico bis si distinse particolarmente in ambito decamerotico, tra le altre cose ovviamente, con titoli come I Racconti di Viterbury - Le più allegre storie del Trecento (1973) di Mario Caiano (come Edoardo Re) o il coevo Fra Tazio da Velletri di Romano Scandariato con Remo Capitani/Ray O'Connor.

Per i completisti della commedia "militaresca", tra Marmittoni, Buttiglioni, Sturmtruppen o Kakkientruppen vari, lontana dalla vena surreale del ciclo La Soldatessa di Nando Cicero, il miglior autore del genere per chi scrive, la pellicola è consigliata soprattutto agli estimatori di Pippo Franco, bravo e professionale, attore dalla carriera non trascurabile che la leggenda vuole sia stato ucciso da un contadino nei primi anni ottanta e poi sostituito da un sosia, come Paul McCartney. Insondabile mistero del cinema italico o, più probabilmente delirio totale. Per i fanatici del C.S.C. sono accreditati Carla Mancini e Luigi Antonio Guerra. Produce la Dania di Luciano Martino. Musiche del Maestro Alessandro Alessandroni.

Originariamente pubblicato su "Le Recensioni di Robydick" il 04/09/2011.

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mercoledì 3 novembre 2021

Sturmtruppen (1976)

 


Grande commedia di Samperi, surreale e sgangherata, ma da riscoprire e rivedere.

Trasposizione cinematografica delle celeberrime vignette di Franco "Bonvi" Bonvicini (31 marzo 1941 - 9 dicembre 1995), nate originariamente il 2 ottobre 1968 e poi ospitate da Paese Sera, L'Ora di Palermo, la rivista romana Off Side e da altre pubblicazioni, tra le quali pure Eureka, fondata dal grande Luciano Secchi/Max Bunker.

Chi cerca connessioni con la ginecommedia d'epoca, è meglio che cambi pellicola perché il film di Salvatore Samperi (26 luglio 1944 - 4 marzo 2009) è opera spuria, surreale, imprendibile, senza centro che cerca di rimanere fedele alla struttura delle strisce bonviane. Sceneggiatura di Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni, con la collaborazione di Vittorio Vighi e Maria Pia Fusco, che lascia briglia sciolta ai due attori e ai comprimari, Massimo Boldi, Lino Toffolo, Teo Teocoli, Felice Andreasi, Sandro Ghiani, Licinia Lentini, Umberto Smaila (nel ruolo del cuoco) e pure quel gran pezzo della Corinne Clery; comicità stralunata e anarchica, è proprio il caso di dirlo, con Samperi in trasferta dai suoi pruriginosi drammi erotico-morbosi-famigliari (nello stesso anno girò Scandalo con Franco Nero e Lisa Gastoni) ma sempre e comunque sarcastico e pungente nel mettere alla berlina convenzioni e ipocrisie dei sistemi sociali scelti come bersaglio. Quando un film comincia con "l'accoltellamento di Marx" da parte di un ufficiale tedeschen cocainomane (Cochi Ponzoni) allora si può già capire dove tutto andrà a parare.

Film non facile, non accomodante, financo triste e malinconico, vedi la cena con Pozzetto e la Clery in mezzo alla discarica/campo militare che rappresenta l'universo in cui è calata tutta la sequenza di eventi, figlio del decennio selvaggio dei settanta e, soprattutto, testimonianza evidente di un cinema che ora non si prende nemmeno più in considerazione. Sturmtruppen uscì il 23 dicembre 1976, proprio nel periodo che oggi chiamiamo propizio per i "cinepanettoni" italici, ma è tutto meno che un prodotto plastificato e predigerito per il grande pubblico; certo parliamo sempre di un'altra epoca, però di qualcosa dobbiamo pur parlare e una certa differenza, almeno di intenti, è impossibile non notarla. Prendiamo il finale con il Milite Ignoto inviato da Dio in persona (il grande Jean-Pierre Marielle, carriera sterminata, doppiato da Pino Locchi) per porre fine alla guerra; portato a cospetto del Papa (Felice Andreasi [8 gennaio 1928 - 25 dicembre 2005] in doppio ruolo) verrà eliminato da quest'ultimo tramite ostia avvelenata, al grido "La Guerra Continua!". Capito, non proprio la stessa cosa.

Consigliato a tutti, specialmente agli amanti del Pozzetto anni settanta, che ve lo dico a fare, il quale non era nuovo a queste uscite, anzi in futuro tirerà fuori pure una cosa come Saxofone (1978) da lui anche diretto. Molto, molto diverso dai vari Buttiglione, Patrocloo e Kakkientruppen. Soldatesse di Nando Cicero a parte, che rimane un pilastro del genere. Nel 1982 lo stesso Samperi ne girerà un seguito Sturmtruppen 2 - Tutti al Fronte con Bombolo e Cannavale, ancora Andreasi, Boldi e Teocoli, scritto dallo stesso Bonvi (con Giancarlo Governi) il quale nel prototipo si concede un breve cameo nel ruolo di un condannato a morte che piscia in testa a Boldi. Il master trasmesso dalla Rai ha i titoli di coda che scorrono su schermo nero, al contrario della versione uscita in sala e quella edita in VHS dalla Domovideo, in cui scorrono su immagini del film. Uscito, in edicola in DVD per la collana "Tutto il Cinema di Renato Pozzetto", come ultimo numero.

Originariamente pubblicato il 4 gennaio 2012 su "Le Recensioni di Robydick".

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martedì 2 novembre 2021

Halloween 5 - The Revenge of Michael Myers (1989)


In ritardo, una vecchia recensione pubblicata originariamente su "Horror.it". Forse, e anche senza il forse, uno dei capitoli più odiati della saga di "Halloween".

Un anno dopo il “Ritorno”, arriva puntuale la “Vendetta” di Michael Myers. Salvato da un eremita dopo la sparatoria che chiudeva il precedente capitolo, l’uomo in nero continua implacabile a dare la caccia alla nipote Jaime.

Strano oggetto questo quinto Halloween della svizzero Dominique Othenin-Girard. Sembra percorrere vie note ed arcinote per poi avventurarsi in territori inusuali per il genere, o meglio, per questo specifico franchise. Nessuna rivoluzione strutturale a ribaltare un plot collaudatissimo, questo no, ma difficile non notare come il regista non sia minimamente interessato al côté slasher della pellicola. Il bodycount, pur presente per contratto perché altrimenti un film del genere non avrebbe ragione d’essere, è mero espediente utilizzato da Girard come collante per una versione riveduta e corretta del Frankenstein di Mary Shelley, in cui Michael Myers riveste ovviamente i panni della creatura, mentre il Dott. Loomis (ancora una volta l’immarcescibile Donald Pleasence) è in tutto e per tutto incarnazione vecchia, claudicante, sconfitta dello scienziato “pazzo”. Già dall’inizio si capisce che le ambizioni di Girard sono, o vorrebbero essere, più alte della media del genere; Michael, colpito a morte dai poliziotti (gli abitanti del villaggio in rivolta contro il “mostro”), finisce per cadere nelle acque salvifiche di un fiume che lo porta dritto nelle mani di un vecchio eremita che vive in una baracca con un pappagallo (omaggio non troppo velato ai film Universal e al capolavoro di Mel Brooks del 1974 con Gene Wilder). Dopo un anno, The Shape sente irrimediabilmente il richiamo della notte di Halloween, uccide il povero vecchio (fu girata anche una versione in cui il personaggio in questione era interpretato da un attore più giovane, nel ruolo del “Dr. Death”, con contorno di rune ed altra simbologia esoterica) e fugge in direzione della solita Haddonfield in cerca della nipotina Jaime (Danielle Harris, già giovanissima Scream Queen).

La bambina, che ha perso l’uso della parola in seguito ai tragici fatti dell’anno precedente, è ricoverata presso un ospedale psichiatrico, non ancora ristabilitasi dopo l’accoltellamento ai danni della matrigna. Lo script originario di Shem Bitterman prevedeva che la ragazzina diventasse effettivamente un personaggio “cattivo”, soluzione poi accantonata dal produttore Moustapha Akkad (detentore unico dei diritti di sfruttamento della saga) che fece riscrivere il tutto da Micheal Jacobs e dallo stesso Othenin-Girard, suggerito alla produzione da Debra Hill per occuparsi della regia, i quali optarono invece per una sorta di “collegamento telepatico” tra i due personaggi principali.

Grande rilievo viene ancora una volta donato alla figura del Dott. Loomis, ormai totalmente assorbito/ossessionato dalla “sua” creatura tanto da vivere unicamente in funzione della distruzione totale della stessa. A monte di tutto il subplot con i ragazzi  alla festa e conseguente inseguimento/carneficina, i motivi di interesse della pellicola risultano proprio essere quelli relativi al rapporto-scontro tra Loomis e Michael (interpretato da Don Shanks), attirato dal dottore nella vecchia casa di famiglia e (quasi) convinto a deporre il coltellaccio in una scena che sembra davvero  una versione horror della sequenza finale di Rambo con Sly e il Colonnello Trautman.

Il Dottor Loomis/Frankenstein riuscirà con uno stratagemma (invero prevedibile) ad incatenare il Mostro/Michael nella villa assicurandolo nelle mani della giustizia; ma niente è come sembra. Per tutto il film si è intravista una figura sfuggente e minacciosa in stivali ed abito nero che si trasformerà in realtà mortale alla stazione di polizia dove ucciderà tutti i poliziotti e libererà il Male dalla sua gabbia d’acciaio. Twist finale assurdo e improbabile, tuttavia segno di una volontà di costruire qualche cosa che esuli dallo slasher  che non può non essere apprezzato. Sicuramente il vecchio Rob Zombie ha raccolto e messo da parte atmosfere e intuizioni di questo piccolo film, non troppo fortunato ai tempi, che merita senza dubbio una riscoperta. Effetti speciali del K.N.B EFX Group non troppo in vista, anche per via dei tagli inferti per i soliti problemi di rating, ma godibili nella loro rozzezza artigianale (specialmente il rampino conficcato in testa al ragazzo nel garage). Non lasciatevi ingannare dalle apparenze, la notte di Ognissanti di Girard (che mise pure le mani in un’altra saga famosa, quella di The Omen nel capitolo quarto, condiviso con Jorge Montesi in quanto abbandonò il set) merita sempre e comunque una visione. 

Originariamente pubblicato su "Horror.it" il 31/10/2011.

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