mercoledì 29 giugno 2022

ANTROPOPHAGUS (1980)


Questa è la prima recensione che scrissi per "Le Recensioni di Robydick", un po' troppo compiaciuta e prolissa, ma che oggi guardo con grande malinconia. 

Cominciamo dall'inizio. Una coppia con tanto di cane al seguito, arriva su una spiaggia solitaria. Lei si mette in costume, lui si sdraia su una roccia con una radio cuffia calcata sulla testa. Il cane si accuccia tranquillo vicino al padrone. Scena idilliaca. La ragazza si tuffa, comincia a nuotare. Fin qui, tutto bene. Si intravede una barca, vicino agli scogli. La ragazza la raggiunge. C'è qualcuno o qualcosa sulla barca. Cominciano le urla. Il sangue scorre. In soggettiva, qualcuno o qualcosa si avvicina al ragazzo sulla spiaggia; il suo viso si rispecchia nella lama di una mannaia, poco prima che la stessa gli apra la testa in due. Che dire, scena simile a tante altre, già vista centinaia di volte. Vero. Però, in questo caso, ci troviamo nel 1980, quando l'attacco dei cloni jasoniani non aveva ancora invaso i cinema mondiali e lo slasher era ancora genere non istituzionalizzato.

Comincia così, il famigerato Antropophagus di Joe D'Amato/Aristide Massaccesi, titolo imprescindibile nella filmografia del grande regista romano. Pellicola torbida, sporca e malsana, sicuramente più rozza del precedente Buio Omega (che già non era un musicarello) ma di grande resa spettacolare. Si, perché Massaccesi e Luigi Montefiori (alias George Eastman, attore e sceneggiatore di talento, collaboratore di lunga data di Aristide e regista di Anno 2020- I Gladiatori del Futuro [1982] e DNA -Formula Letale [1990] per la Filmirage) si inventano un villain straordinario, a metà strada tra il morto vivente e l'assassino onnipresente e imbattibile di carpenteriana memoria, tale Klaus Wartmann, uomo dai nobili natali che si trova costretto a cibarsi delle carni della moglie e del figlio a causa di un naufragio. Genio del bis italico alla massima potenza. Massaccesi centellina le apparizioni della sua creatura, lasciandola nell'ombra per quasi tutto il primo tempo in modo tale da presentare il manipolo di attori protagonisti, sperduti su un'isoletta greca disabitata e alla mercé del cannibale.

Protagonisti schiacciati, rinchiusi in luoghi inospitali e polverosi nei quali troveranno indicibile morte. In questo senso D'Amato ci regala una serie di sequenze deliranti e indimenticabili. Immaginate il pubblico in sala, nel 1980, che assiste alla scena in cui Montefiori, in una vera catacomba (quelle di Santa Savinilla a Nepi) sempre più affamato, estirpa dal corpo della povera Vanessa Steiger (vale a dire Serena Faggioli, in arte Serena Grandi) nientemeno che il feto che la donna si porta in grembo, per poi ciucciarselo come un'ostrica, di fronte al di lei marito. Gli innocenti non hanno nessuna speranza di salvarsi nei film di Massaccesi, impossibile, nemmeno la ragazzina cieca scampata alla prima mattanza nel villaggio (Margaret Donnelly, al secolo Margaret Mazzantini, proprio lei, l'autrice di Non Ti Muovere) può ritenersi al di sopra delle parti. Anzi, viene orrendamente sfigurata e sgozzata con un morso proprio nel prefinale. Quanta violenza.

Ma è proprio questo il cuore pulsante del cinema di Joe D'Amato (o David Hills, Michael Wotruba, Peter Newton, Robert Yip, a seconda dello pseudonimo): spingersi oltre, aggredire lo spettatore con immagini al limite della decenza, frullare decamerotico, cannibalico, post-nuke, fantasy, erotico, horror e porno come nessuno aveva mai osato prima (vedi lo straordinario ciclo Emanuelle con Laura Gemser, mutuato dal capostipite di Bitto Albertini). Antropophagus è, cronologicamente parlando, il terzo horror tout court girato da Massaccesi; il primo, suo esordio alla regia, fu La Morte ha sorriso all'assassino  (1973) aka Sette strani Cadaveri con Ewa Aulin, Klaus Kinski, Luciano Rossi e Angela Bo, film avanti di almeno dieci anni nella cinematografia italiana e internazionale, lontanissimo dal thrilling a tematica argentiana che impazzava in quel momento storico, mentre il secondo fu quel Buio Omega(1979) citato all'inizio del quale si parlerà prossimamente. Tutto questo senza contare le altre opere selvagge degli anni settanta (nel 1979 girò a Santo Domingo la bellezza di SEI film in dodici settimane) e quelle che seguiranno, massimamente prodotte da Edward Sarlui. Gli altri due horror puri massaccesiani sono il cripto-seguito di Antropophagus, ovvero  (1981) e il suo canto del cigno Frankenstein 2000/Ritorno Dalla Morte (1989).

Si chiude un cerchio, una esplorazione dei generi portata avanti con passione, gusto per l'erotismo (che poi si trasformerà in hard) e, sicuramente, ricerca del profitto, dato che il buon Massaccesi, da produttore astuto qual era, ha sempre cercato di vendere i suoi prodotti senza troppe perdite. Il che ci riporta alla pellicola in questione. Ovvero uno slasher ante litteram in cui un gigante sfigurato massacra senza pietà una comitiva di sventurati; un antipasto di quello che si vedrà sugli schermi nei prossimi quindici anni (e oltre). Può sembrare una facile semplificazione, ma il cinema, almeno per chi scrive, è anche un gioco di rimandi, citazioni e capacità di rinnovarsi e di superare i limiti imposti. Quindi, questo Antropophagus risulta un degno apripista per il decennio in arrivo. Sadico, cupo, cimiteriale e con un bel branco di topi dagli occhi rossastri che strisciano nelle catacombe. Impossibile non amarlo.

Due parole su George Eastman. Oltre ad essere attore carismatico, Gigi Montefiori è soprattutto un grandissimo sceneggiatore, autore di film spesso sottovalutati, ma di grande spessore, come Amico, Stammi lontano almeno un palmo (1972) di Michele Lupo, ottimo spaghetti-western in cui fa coppia con Giuliano Gemma (pellicola in cui Massaccesi era il direttore della fotografia) e Canne Mozze (1977) di Mario Imperoli, bellissimo noir con Antonio Sàbato. Per non parlare poi di Deliria (1987) di Michele Soavi e, il capolavoro Keoma (1976) di Enzo Girolami Castellari (che si avvalse anche della collaborazione di Joshua Sinclair).

Finiamo parlando un poco degli attori che non sono stati citati fino a questo punto. E ci mancherebbe altro, perché abbiamo lasciato fuori la splendida Tisa Farrow, sorella di Mia, già in Zombi 2 (1979) del Maestro Fulci, Una Magnum Special per Tony Saitta (1976) di DeMartino e ne L'Ultimo Cacciatore (1980) di Margheriti. Mica bruscolini. Donna bellissima che, a quanto narra la leggenda, pare lavorasse come tassinara in quel di New York. Aggiungiamo alla portata anche Zora Kerowa (Zora Ulla Keslerowa) nel ruolo della medium del gruppo, la cui morte per sgozzamento è rimasta fuori dal montaggio finale. Ma va bene così, anzi la scena è più efficace montata in questo modo. Niente in confronto alle sevizie che subirà in Cannibal Ferox (1981) di Umberto Lenzi e in Lo Squartatore di New York (1982), capolavoro inarrivabile di Fulci. Dimentichiamo gli attori, ovvero Mark Bodin (Alien 2 sulla Terra [1979] di Ciro Ippolito), Bob Larson, Mauro Curi (il figlioletto del nobile) e la "statua di sale" Saverio Vallone, che ha il grande onore di picconare George Eastman (truccato da Pietro Tenoglio) nel finale cultissimo in cui addenta i propri intestini. Film da vedere almeno una volta nella vita. Musiche stranianti del Maestro Marcello Giombini. Ok, fine. Negli Stati Uniti ha riscosso un grande successo con il titolo The Grim Reaper, anche se ampiamente rimaneggiato in fase di edizione.

Originariamente pubblicato il 28/06/2011 su "Le Recensioni di Robydick".

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